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Elezioni presidenziali americane, l’approfondimento multimediale nel «Messaggero di sant’Antonio» edizione italiana per l’estero
Con le interviste a Bill Emmott, già direttore di «The Economist» e Alessandro Carrera dell’Università di Houston
Manca una settimana esatta dalle elezioni presidenziali americane, che il 5 novembre indicheranno il 47esimo presidente degli Stati Uniti. La sfida a due è tra la candidata dei democratici Kamala Harris e il candidato dei repubblicani Donald Trump. Il «Messaggero di sant’Antonio» edizione italiana per l’estero, che conta numerosi lettori negli States, in queste settimane ha accompagnato il dibattito attraverso una serie di approfondimenti curati dal caporedattore Alessandro Bettero.
«Mai prima d’ora, nella storia recente, gli Stati Uniti sono arrivati così divisi e rissosi alle elezioni presidenziali – scrive Bettero in “Un voto che cambia la storia” – La campagna elettorale è stata improntata a uno stile bellicoso, imperniata sull’esasperazione del conflitto, e su un antagonismo ideologico, tra Repubblicani e Democratici, declinato più a suon di slogan che non su una seria e pacata disamina dei mali dell’Unione. Un bell’affare anche per gli spin doctors che hanno supportato la comunicazione pubblica dei due candidati alla Casa Bianca. La contrapposizione fra Donald Trump e Kamala Harris appare, dunque, come il paradigma di due visioni opposte della società americana e del suo futuro, oltre che l’esito di due ruoli diversi e antitetici che Washington intende ritagliarsi in un mondo che, con la progressiva evaporazione della sbornia globalista e con le rivendicazioni geopolitiche multipolari di vecchie e nuove superpotenze, sta franando sotto il peso dei revanscismi nazionalistici. Eppure i temi all’ordine del giorno non mancano: l’inflazione e la riduzione del potere d’acquisto, in particolare da parte del ceto medio statunitense, l’immigrazione, la criminalità, la sanità, il welfare, il dilagare del fentanyl (un oppioide sintetico con proprietà analgesiche e anestetiche, ma usato come una droga), le crisi in Ucraina e in Palestina, la spada di Damocle di Pechino su Taiwan e la minaccia cinese nell’Indo-Pacifico, la mina vagante nordcoreana».
Il servizio raccoglie anche i commenti autorevoli di Mauro della Porta Raffo, editorialista, scrittore, presidente onorario della Fondazione Italia USA; Bill Emmott, per molti anni direttore del settimanale «The Economist», giornalista, scrittore, consulente di istituzioni internazionali, e autore del saggio Deterrence, Diplomacy and the Risk of Conflict Over Taiwan (Routledge); Mario Del Pero, professore di Storia internazionale e di Storia degli Stati Uniti a SciencesPo a Parigi, autore del saggio Libertà e impero per i tipi di Laterza; Alessandro Carrera, direttore del Dipartimento di Lingue classiche e moderne all’Università di Houston, in Texas, che ha scritto il saggio I vecchi, i giovani e gli strani. Biden, Harris, Trump e il destino del mondo (Luca Sossella editore).
Come sono cambiati gli Stati Uniti in questi anni, e con quali aspettative gli elettori si presentano al voto per le presidenziali di novembre? A queste domande risponde il professore Alessandro Carrera (Università di Houston) nell’ampia intervista di Bettero intitolata “L’America al bivio”, che affronta i temi dell’attualità politica americana, letti anche in una prospettiva storica, economica e sociale. Così Carrera: «L’America è sempre stata divisa, arrabbiata, rissosa e molte altre cose. La polarizzazione politica assoluta di cui siamo testimoni è, però, un fenomeno recente, e data all’incirca dalla campagna elettorale che vide vincitore George W. Bush contro Al Gore nel 2000, per un pugno di voti e con decisione finale della Corte Suprema. In passato ci sono stati molti temi su cui l’elettorato era diviso: la fine della segregazione, i diritti delle minoranze, la visione repubblicana dell’americano fai-da-te che non ha bisogno dello Stato, e la visione democratica di uno Stato non proprio assistenziale, ma comunque più aperto a programmi di “giustizia sociale” (termine che i Repubblicani aborriscono). Tutto questo è cambiato negli anni Novanta. Da un lato, la presidenza Clinton, come il premierato di Tony Blair in Inghilterra, ha unito, anche forzosamente, la sinistra sociale con il neoliberismo riducendo, a poco a poco, tutti gli spazi della sinistra tradizionale e lasciando quindi la classe operaia e medio-bassa senza una vera rappresentanza. Dall’altro lato, ai conservatori è mancato il terreno sotto i piedi, ora che il loro modello economico era stato assimilato dall’agenda democratica, e hanno reagito con un netto spostamento a destra, simboleggiato all’inizio da Newt Gingrich, presidente repubblicano della Camera dei Deputati e arcinemico di Clinton. Da allora, questa frattura si è solo allargata e ha portato al populismo di Donald Trump. Il presidente che più di ogni altro ha cercato di riportare i Democratici a un’agenda veramente sociale è stato proprio Biden, il presidente più di “sinistra” che gli Stati Uniti abbiano avuto dai tempi di Franklin D. Roosevelt, anche più di Obama. Ben pochi sembrano essersene accorti, perfino tra coloro che ne hanno beneficiato».
In un clima di incertezza sull’esito delle elezioni, e di tensioni tra i supporter dei Repubblicani e dei Democratici, gli Stati Uniti si dimostrano sempre più come un Paese diviso in un contesto storico nel quale l’Occidente, di fronte agli autoritarismi consolidati di Russia e Cina, e a quelli emergenti, si ritrova a vivere in un’inedita condizione di fragilità. Libertà, solidarietà e tolleranza, oltre al futuro stesso dell’Occidente, sono i temi affrontati dall’intervista audio a Bill Emmott, già direttore del settimanale «The Economist» intitolata “Stati Uniti. Democrazia alla resa dei conti?”.
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